Ruolo della formazione per una cultura inclusiva

Negli ultimi anni il capitale umano delle organizzazioni è cambiato profondamente, diventando sempre più eterogeneo. La globalizzazione, i flussi migratori, la rivoluzione digitale hanno modificato la composizione della società in cui viviamo portando in un unico ambiente un mix differente di componenti. Si pensi, ad esempio, alle diverse lingue, abilità, culture, esperienze, età… Naturalmente questi cambiamenti hanno interessato anche il mondo delle aziende, spingendo quelle più innovative e proiettate al futuro ad adottare nuovi stili di leadership che pongono al centro la persona.


Le nuove forme carismatiche di leadership si esprimono all’interno di un contesto dove viene valorizzata la diversità attraverso la comprensione profonda delle stesse e la costruzione di un ambiente inclusivo. Il leader inclusivo è il cardine di questo tipo di organizzazione e il suo impegno è quello di aumentare il benessere degli individui e stimolare l’incontro di idee, quindi processi che portano con sè innovazione.


Nel contesto lavorativo molteplici sono gli elementi che differenziano gli individui e si raggruppano in diversità di tipo organizzativo, culturale e personale.


Se non gestite queste differenze possono diventare criticità che vanno ad incidere, negativamente, sul benessere dei dipendenti, sulle prestazioni aziendali e sulla capacità di innovare. Questa situazione si ritrova sempre più di frequente nelle organizzazioni di tipo gerarchico, caratterizzate da strutture verticali a silos, dove la cultura dominante tende ad appiattire le personalità di ognuno e stimola una serie di comportamenti e di linguaggi che tendono ad essere escludenti nei confronti di alcune categorie di persone (donne, over 50, nuove generazioni, disabili, stranieri, ecc…).

Elementi di diversità per la formazione e cultura inclusiva


In un contesto organizzativo di tipo (veramente) inclusivo, invece, la diversità viene considerata una risorsa irrinunciabile e come tale va gestita. L’inclusione delle differenze diventa una grande opportunità, un momento unico per poter valorizzare la ricchezza che scaturisce dall’integrazione di molteplici conoscenze ed esperienze. E’ un occasione per co-costruire la conoscenza dando voce a tutte le varietà di idee e punti di vista al fine di costruire un futuro comune, creare senso di appartenenza e migliorare le performance orientandole verso risultati sempre più sfidanti.


Tutto ciò non è solo teoria buonista ma viene confermata anche dai fatti. Per esempio, da uno studio condotto da Bershin by Deloitte, condotto su 450+ aziende a livello mondiale, le organizzazioni che adottano uno stile inclusivo migliorano la propria capacità di prendere le decisioni del 87%, dimostrano una maggiore capacità di innovazione (+20% rispetto alle altre) e fidelizzano maggiormente i propri clienti (vedi più dettagli dello studio qui).

Il ruolo della formazione all’interno di una cultura inclusiva

A mio avviso la formazione può favorire pratiche che permettono lo sviluppo di una cultura aziendale inclusiva e ricoprire un ruolo davvero importante nella “gestione della diversità” (Diversity management).
Molto dipende da alcuni fattori, alcuni ambientali (vedi per esempio il contesto culturale) altri legati al modello di learning implementato. In concreto, diversi sono gli ambiti in cui la formazione, direttamente o indirettamente, diventa fattore importante di inclusione all’interno dell’organizzazione. Eccone di seguito alcuni che meritano di essere citati.

Far comprendere cos’è la diversità

Per poter gestire efficacemente la diversità e trarne i rilevanti benefici bisognerebbe conoscerla a fondo; per conoscere a fondo la diversità bisognerebbe provarla per rendersi conto di come la cultura aziendale e i pregiudizi inconsci (unconscious bias) impattano negativamente sulle prestazioni aziendali. Per fortuna non è necessario vivere personalmente il senso di esclusione per avere contezza del fenomeno; una formazione ben progettata ed applicata può essere il primo, fondamentale passo per acquisire la giusta consapevolezza delle dinamiche sociali e comportamentali e di come queste, se ben indirizzate, possano portare un’enorme valore alle stesse persone e al sistema azienda.


Per formazione non stiamo parlando di un corso sul tema, non sarebbe certo sufficiente. Stiamo parlando di un percorso formativo strutturato inserito all’interno di una cultura aziendale che promuove e supporta l’inclusione, nelle parole e nei comportamenti. Un percorso – diversificato tra manager e collaboratori – che permette da un lato di individuare gli stereotipi (automatici, involontari e profondamente radicati) che viziano negativamente le nostre decisioni, dall’altro quello di far comprendere le modalità con cui gestire la diversità e coglierne i lati positivi.


Se si vuol uscire dalla sterile retorica sulla diversità il top management dovrebbe investire sulle competenze e promuovere un nuovo stile di leadership al fine di costruire un nuovo mindset inclusivo dove l’ascolto attivo, l’empatia, il desiderio profondo di capire l’altro costituiscano i pilastri di un modo nuovo di lavorare e crescere professionalmente.

Valorizzare la diversità

La formazione ha diversi modi di mettere a fattore comune i diversi punti di vista e le diverse necessità dei discenti.

Per esempio nell’approccio e nel metodo usato per progettare ogni elemento dell’ecosistema formativo; che sia un corso e-learning, un percorso formativo o l’intero ecosistema stesso, il formatore co-progetta questi elementi insieme a tutti gli stakeholder, cercando di offrire loro una soluzione di impatto che parta dai diversi punti di vista e soddisfi i diversi bisogni, esplicitati o latenti.


Un altro esempio è fornito dal ruolo stesso del formatore, che da insegnante diventa il facilitatore che collega e valorizza le diverse menti dell’organizzazione. Attraverso workshops, il social learning, la prototipazione veloce, il formatore mette in campo nuove pratiche applicate all’apprendimento favorendo la connessione tra persone, idee e culture.


In un contesto in rapido e continuo cambiamento la capacità di relazionarsi efficacemente con più attori a partire da una comprensione profonda di che cosa motivi e caratterizzi gli uni e gli altri è un prerequisito importante per poter affrontare continui cambiamenti e adattarsi a nuove situazioni.

Empatizzare significa non solo comprendere le attività razionali che le persone sono portate ad intraprendere, ma anche e sopratutto entrare nelle loro emozioni, sentire le urgenze, le paure, i momenti di soddisfazione che animano le loro vite e che, in ultima analisi, definiscono i percorsi di consumo più di qualsiasi processo di business.

Creare benessere e prospettive future

La formazione pluralistica è una componente fondamentale per la creazione del benessere delle persone preparandole meglio alle sfide del futuro. La cultura, infatti, può contrastare il rischio che la rivoluzione tecnologica in atto e i rapidi cambiamenti nel mondo del lavoro creino nuove forme di emarginazione nelle organizzazioni e nella società.

Il formatore diventa, così, un attore protagonista del welfare aziendale promuovendo l’apprendimento come mezzo per adattare la propria professionalità al cambiamento e supporta la concezione del lavoro come strumento per la realizzazione della persona.

Abbattere il digital divide

Il digital divide – ovvero il divario digitale tra chi ha accesso alle opportunità offerte dalla tecnologia – produce sempre più disparità sociali e lavorative, e ha forti ripercussioni sul benessere delle persone. Oltre ai problemi di natura strettamente tecnologica (la connettività in primis), i motivi di esclusione sono dovute a diversi fattori, primi fra tutti l’età, le condizioni economiche e il livello di istruzione.
Nelle aziende questo problema è ugualmente sentito in quanto l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione richiede innanzitutto al management una conoscenza adeguata per poter concepire nuove strategie, acquisendo nuove competenze tecniche (e umanistiche) necessarie per guidare la trasformazione dell’organizzazione ed, eventualmente, del suo modello di business.


La formazione può naturalmente contribuire a ridurre drasticamente questo divario e l’emarginazione che ne consegue.

Oltre alla formazione focalizzata sui nuovi termini e concetti, è possibile mettere in atto delle strategie formative che sfruttino le attitudini e le competenze presenti in aziende in una logica di scambio di conoscenze tra generazioni. Il mentoring e il reverse mentoring sono strumenti straordinari per ridurre il divario delle competenze (digitali e non) e possono risolvere in buona parte il potenziale problema relativo alla convivenza di più generazioni nello stesso ambiente lavorativo.

Garantire l’accessibilità

Garantire l’accessibilità alla conoscenza è una grande sfida per le organizzazioni e comporta nuovi percorsi di progettazione in aggiunta alla riorganizzazione e valorizzazione delle infrastrutture e del materiale formativo esistente. E’ necessario progettare una formazione “adattiva”, che tenga conto dei ruoli, del livello di conoscenza, delle caratteristiche personali, dei vincoli organizzativi, dello stile di apprendimento preferito, delle esigenze e aspirazioni affinchè possa garantire un facile accesso ai contenuti, soddisfare efficacemente i fabbisogni di conoscenza e tradursi in attività remunerativa per l’azienda.

L’organizzazione che mette al centro la persona,

ne potenzia il benessere e crea valore a partire dalla diversità.

Si costruisce così un ambiente inclusivo

dove tutti sono messi in condizione di dare il loro pieno contributo.

Conclusioni

Sulla base delle riflessioni fatte ci si rende conto che l’inclusione non è un processo semplice. Essa presuppone la volontà e la conseguente capacità di affrontare un percorso di consapevolezza individuale e organizzativa non sempre desiderabile.

L’illusione di non avere stereotipi ci rassicura ma spesso ci rendiamo conto che crea contraddizioni e blocca ogni possibilità di crescere e di stare meglio. L’ancoraggio a convinzioni nate nel passato ci porta ad osteggiare il cambiamento e, di conseguenza, l’innovazione. Al contrario, vivere in un ambiente inclusivo dove tutte le persone sono a proprio agio permette di innescare il rinnovamento necessario per affrontare le sfide di un mondo sempre più complesso e articolato.


– La formazione può favorire pratiche che permettono lo sviluppo di una cultura aziendale inclusiva


Negli ultimi anni il capitale umano delle organizzazioni è cambiato profondamente, diventando sempre più eterogeneo. Per poter gestire in modo efficace queste diversità è necessaria una leadership inclusiva, che concepisca e promuova un ambiente lavorativo dove l’ascolto attivo, l’empatia e il desiderio profondo di capire il prossimo diventano i capisaldi di un modo nuovo di lavorare e crescere professionalmente.


– Alla base del Diversity Management c’è la consapevolezza dell’esistenza, in tutti noi, di pregiudizi inconsci (automatici, involontari e profondamente radicati) che influenzano negativamente le decisioni e, di conseguenza, hanno un impatto negativo sulla prestazioni aziendali.


Empatizzare significa non solo comprendere le attività razionali che le persone sono portate ad intraprendere, ma anche e sopratutto entrare nelle loro emozioni, sentire le urgenze, le paure, i momenti di soddisfazione che animano le loro vite
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Sulla base delle riflessioni fatte ci si rende conto che l’inclusione non è un processo semplice. Essa presuppone la volontà e la conseguente capacità di affrontare un percorso di consapevolezza individuale e organizzativa non sempre desiderabile ma sempre di più necessaria.


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